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Tanto rumore per il metano

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Pubblichiamo la traduzione di un importante post di Realclimate che riguarda il metano, un potente gas serra che rispetto ad altri spaventosi elementi della storia del clima ha anche l’impressionante potere di terrorizzare la gente.

Di quale metano stiamo parlando?

Le principali riserve di metano si trovano nei sedimenti oceanici, congelate in depositi di idrato o clatrato (Archer, 2007). La quantità totale di metano contenuto negli idrati oceanici è piuttosto limitata ma potrebbe competere con quella di tutti gli altri combustibili fossili messi insieme. La maggior parte di questo metano è difficile da estrarre per produrre carburante, e soprattutto si trova così in profondità  nella colonna di sedimenti che ci vorrebbero migliaia di anni di riscaldamento antropogenico per raggiungerlo. L’Artico è un caso particolare perché  la colonna d’acqua è più fredda rispetto alla media globale, perciò l’ idrato può essere trovato ad una profondità marina di circa 200 metri.

Sulla terraferma, il metano si trova in abbondanza nelle zone artiche soggette al decongelamento, sotto forma di laghi che erompono Questo metano è probabilmente prodotto dalla decomposizione della materia organica dopo il decongelamento. Il metano può congelare e trasformarsi in idrato solo a profondità superiori a qualche centinaio di metri nel terreno, e inoltre solo se soggetto a “pressione litostatica”, non  “idrostatica”, nel senso che l’idrato deve essere separato dall’atmosfera da qualche strato impermeabile. Si ipotizza che i grandi giacimenti di gas in Siberia siano in parte congelati, ma le prove per dimostrare che l’idrato si possa formare anche attraverso lo strato di permafrost sono piuttosto deboli (Dallimore e Collett, 1995)

 

Il metano fuoriesce a causa del riscaldamento globale?

Ci sono state osservazioni di bolle provenienti dal fondale marino nell’Artico (Shakhova, 2010; Shakhova et al., 2005) e al largo della Norvegia (Westbrook, 2009). Il “pennacchio” di queste bolle in Norvegia coincide con il limite della zona di stabilità dell’idrato, laddove un piccolo aumento della temperatura può rendere instabili i sedimenti superficiali. Un modello di idrati (Reagan, 2009) produce una scia di bolle simile a ciò che è stato osservato in risposta al tasso di riscaldamento degli oceani rilevato negli ultimi 30 anni, quando si estrapola lo stesso tasso a ritroso negli ultimi 100 anni. Nel modello, il tempo di risposta è di diversi secoli, quindi considerare anche il riscaldamento più antico, come hanno fatto, rende difficile anche solo ipotizzare quanto del loro risultato possa essere attribuito al riscaldamento causato dall’uomo, anche se sapessimo in quale misura il riscaldamento degli oceani negli ultimi 30 anni in quella zona sia dovuto all’attività umana.


I laghi  creano una via di fuga per il metano attraverso dei “bulbi di disgelo” nel terreno sottostante, e appaiono e scompaiono un po’ ovunque nella regione artica quando il permafrost si scioglie. (L’emissione di CO2 o di una miscela di CO2 e metano dipende fondamentalmente dall’acqua, perciò i laghi sono importanti anche per questo motivo.)

Bolle di metano bloccate all’interno del ghiaccio di un lago congelato in Alaska

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ancora non ci sono robuste prove che i flussi di metano siano aumentati a causa del riscaldamento antropogenico. Ma è sicuramente un’ipotesi credibile, almeno entro il prossimo secolo, il che ci porta alla prossima domanda:

 

Quale effetto avrebbe un rilascio di metano nell’atmosfera sul clima?

L’impatto sul clima varia se il metano viene rilasciato tutto in una volta, più velocemente rispetto al suo ciclo di vita nell’atmosfera (circa un decennio), oppure attraverso un rilascio graduale e prolungato.

Se il metano verrà rilasciato costantemente, nel corso di decenni, la concentrazione nell’atmosfera salirà fino a raggiungere un nuovo valore di equilibrio. Non crescerà all’infinito, come potrebbe fare la CO2, poiché il metano si degrada mentre essenzialmente la  CO2 si accumula soltanto. Il metano si degrada in CO2 e alcune simulazioni che ho fatto (Archer e Buffett, 2005)  dimostrano infatti che il “forcing radiativo” dovuto ad una elevata concentrazione di metano in un processo di lungo rilascio è comparabile con quello dato dalla CO2  - che si crea in eccesso nell’atmosfera – dal metano come fonte di carbonio. Nella figura sottostante, le linee tratteggiate sono ottenute da una simulazione di rilascio di CO2 da combustibili fossili, mentre le linee continue sono dello stesso modello ma con aggiunto il feedback dall’idrato di metano. Il  “forcing radiativo” del metano si combina con lo stesso CH4 che persiste solo durante il periodo del rilascio del metano, più l’aggiunta di CO2 nell’atmosfera che persiste per tutta la simulazione lunga 100.000 anni.

L’ipotesi di un rilascio catastrofico è, naturalmente, ciò che dà al metano il suo potere di scatenare l’immaginazione ( in particolare dei giornalisti, a quanto pare). Una frana sottomarina potrebbe rilasciare una gigatonnellata di carbonio sotto forma di metano (Archer, 2007), ma l’effetto ”radiativo”  sarebbe scarso, simile, per magnitudine (ma di segno opposto) al ” forcing radiativo” di un’eruzione vulcanica. Percepibile forse, ma con ogni probabilità non determinerà la fine della specie umana.

 

Cosa potrebbe accadere al metano nell’Artico?

Le bolle di metano provenienti dalla piattaforma siberiana sono parte di un sistema che richiede secoli per rispondere ai cambiamenti di temperatura. Anche il metano proveniente dai laghi artici contribuisce potenzialmente ad un nuovo, accresciuto e cronico rilascio di metano in atmosfera. Nessuno dei due è in grado di rilasciare una catastrofica quantità di metano (centinaia di miliardi di tonnellate) in un breve intervallo di tempo (qualche anno o meno). Non ci sono gigantesche bolle di metano pronte ad uscire non appena il loro tetto di scioglie.

E finora le sorgenti di metano alle alte latitudini sono modeste rispetto ai grandi protagonisti che sono le zone umide nei climi più caldi. E’ difficile identificare se le bolle sono una nuova sorgente di metano causata dal riscaldamento globale, ovvero una risposta al riscaldamento avvenuto negli ultimi 100 anni, o se scie di bolle di questo tipo si producono continuamente. In ogni caso, non ha molta importanza a meno che non aumentino di 10 o 100 volte visto che le sorgenti alle alte latitudini sono modeste rispetto ai tropici.

 

Il metano come killer del passato?

Estinzioni di massa come quella della fine del Permiano e la PETM tipicamente lasciano degli affascinanti picchi negli isotopi del carbonio contenuti nei calcari e nel carbonio di origine organica. Il metano ha una firma isotopica, per cui ogni suo evento dirompente sarebbe registrato negli isotopi del carbonio, ma altrettanto farebbero i cambiamenti nell’ambito della biosfera, gli accumuli di carbonio del suolo come le torbiere, e il carbonio organico disciolto negli oceani. L’estinzione della fine del Permiano è ancora avvolta nel mistero e la mia impressione è che l’agente scatenante sia lungi dall’essere svelato.

Il metano è anche uno dei soliti sospetti per il PETM (il massimo termico tra Paleocene ed Eocene), caratterizzato da 100.000 anni di carbonio isotopicamente leggero che si pensa sia dovuto al rilascio di qualche sorgente di carbonio di origine biologica. Così come la CO2 dei combustibili fossili sta oggi alleggerendo gli isotopi del carbonio nell’atmosfera, in concomitanza con temperature realmente più elevate. Personalmente credo che la combinazione tra isotopi del carbonio e paleotemperature escluda quasi del tutto il metano quale sorgente originale di carbonio (Pagani et al., 2006), sebbene Gavin Schmidt arrivi a una conclusione opposta, che potremo approfondire in un prossimo post. In ogni caso, una durata del riscaldamento pari a 100.000 anni sta a indicare che nella maggior parte degli eventi l’agente serra fosse CO2, non metano.

 

Può verificarsi un feedback fuori controllo dovuto al metano?

Quello che i planetologi e i climatologi solitamente chiamano “effetto serra fuori controllo” (runaway greenhouse effect) coinvolge il vapore acqueo. Un effetto serra fuori controllo che coinvolga il rilascio di metano (come quello menzionato qui) è concettualmente possibile; tuttavia, per avere un picco della concentrazione di metano nell’aria, si dovrebbe avere un rilascio di metano più veloce del tempo di dimezzamento del metano stesso nell’atmosfera (dieci anni). Altrimenti stiamo solo parlando di elevate concentrazioni di metano, che riflettono l’aumento della fonte, più la forzante radiativa della CO2 che si sta accumulando. Non si avrebbe quindi un effetto serra da metano fuori controllo ,ma un fenomeno simile a un qualsiasi altro rilascio di carbonio sotto forma di CO2 nell’atmosfera. Sembra che stiamo facendo della semantica, ma in realtà questo ragionamento colloca il sistema metano nel contesto del sistema CO2, al quale il metano stesso appartiene e nel quale possiamo inquadrarlo.

Pertanto potrebbe accadere che entro la fine del nostro secolo, in uno scenario ragionevole, forse 2000 Gton di carbonio potrebbero essere rilasciate dalle attività umane in una sorta di scenario “business-as-usual”, e nel peggiore dei casi altre 1000 Gton di carbonio potrebbero venire dal suolo e dal rilascio di idrato di metano. Abbiamo costruito un modello dell’effetto serra fuori controllo dovuto al metano nel quale l’inventario dell’idrato di metano contenuto negli oceani risponde al cambiamento di temperatura dell’oceano su una certa scala temporale, e la temperatura risponde alle concentrazioni dei gas serra nell’aria su un’altra scala temporale (di circa un millennio) (Archer and Buffet, 2005). Se gli idrati rilasciassero troppo carbonio, diciamo due unità di carbonio dagli idrati per ogni unità di carbonio dai combustibili fossili, su una scala temporale troppo veloce (per esempio 1000 anni anziché 10.000) il sistema finirebbe fuori controllo nella modalità di effetto serra da CO2 descritta sopra. Non importerebbe più di tanto se il carbonio ha raggiunto l’atmosfera come metano o se si è semplicemente ossidato a CO2 nell’oceano e poi si è parzialmente degassato nell’atmosfera alcuni secoli più tardi.

Il fatto che i dati ottenuti dalle carote di ghiaccio non siano pieni di picchi di metano dovuti alle sorgenti delle alte latitudini fa ragionevolmente supporre che il mondo reale non sia poi così sensibile come lo è il modello che abbiamo costruito. Da qui proviene la mia ipotesi, descritta nel precedente paragrafo, sullo scenario peggiore di 1000 Gton di carbonio dagli idrati di metano dopo 2000 Gton di carbonio dai combustibili fossili.

D’altronde in uno scenario business-as-usual l’oceano profondo potrebbe alla fin fine (dopo un migliaio di anni o giù di lì) riscaldarsi di molti gradi e diventare più caldo di quanto lo sia stato in milioni di anni. Poiché sono necessari milioni di anni per la formazione degli idrati, questi devono aver avuto un tempo sufficientemente lungo per formarsi in risposta al relativo freddo della Terra degli ultimi 10 milioni di anni circa. Inoltre, la forzante climatica dovuta al rilascio di CO2 è più forte adesso di quanto lo fosse milioni di anni fa quando i livelli di CO2 erano più alti, a causa dell’effetto di saturazione di banda della CO2 come gas serra. In breve, se sia mai stato un buon momento per provocare lo scioglimento degli idrati di metano, questo momento sarebbe adesso. Ma “adesso” in un senso geologico, cioè sull’arco di migliaia di anni futuri, non “adesso” sulla scala dei tempi umani. Gli idrati di metano negli oceani, insieme alle torbiere permanentemente gelate (che non ricevono mai sufficiente riguardo), potrebbero essere un importante fattore moltiplicativo della lunga coda della CO2, ma probabilmente non un attore fondamentale del cambiamento climatico nel secolo a venire.

Potrebbe il metano rappresentare un punto di non ritorno?

In verità, ammesso ne esista uno, il punto di non ritorno è il rilascio di CO2. L’unico modo per tornare ad un clima naturale in un tempo comparabile a quello di una vita umana sarebbe quello di estrarre la CO2 dall’atmosfera tramite la geoingegneria. La CO2 che è stata assorbita negli oceani tornerà in parte in atmosfera sotto forma di gas, quindi dovremmo ripulire anche questa. E se gli idrati o le torbiere aggiungessero ulteriore carbonio in atmosfera, dovremmo includerlo nel conto, un po’ come pagare gli interessi su un prestito.

 

Conclusioni

Amici, è la CO2.

 

Referimenti

  1. D. Archer, “Methane hydrate stability and anthropogenic climate change”, Biogeosciences, vol. 4, 2007, pp. 521-544. DOI.
  2. N. Shakhova, I. Semiletov, I. Leifer, A. Salyuk, P. Rekant, and D. Kosmach, “Geochemical and geophysical evidence of methane release over the East Siberian Arctic Shelf”, Journal of Geophysical Research, vol. 115, 2010. DOI.
  3. N. Shakhova, “The distribution of methane on the Siberian Arctic shelves: Implications for the marine methane cycle”, Geophysical Research Letters, vol. 32, 2005. DOI.
  4. G.K. Westbrook, K.E. Thatcher, E.J. Rohling, A.M. Piotrowski, H. Pälike, A.H. Osborne, E.G. Nisbet, T.A. Minshull, M. Lanoisellé, R.H. James, V. Hühnerbach, D. Green, R.E. Fisher, A.J. Crocker, A. Chabert, C. Bolton, A. Beszczynska-Möller, C. Berndt, and A. Aquilina, “Escape of methane gas from the seabed along the West Spitsbergen continental margin”, Geophysical Research Letters, vol. 36, 2009. DOI.
  5. M.T. Reagan, and G.J. Moridis, “Large-scale simulation of methane hydrate dissociation along the West Spitsbergen Margin”, Geophysical Research Letters, vol. 36, 2009. DOI.
  6. D. Archer, “Time-dependent response of the global ocean clathrate reservoir to climatic and anthropogenic forcing”, Geochemistry Geophysics Geosystems, vol. 6, 2005. DOI.
  7. M. Pagani, K. Caldeira, D. Archer, and J.C. Zachos, “ATMOSPHERE: An Ancient Carbon Mystery”, Science, vol. 314, 2006, pp. 1556-1557. DOI.

 

 

Traduzione di: Luciana Carotenuto, Aurora D’Aprile

Revisione di: Riccardo Reitano, Simone Casadei, Sylvie Coyaud

Post originale di David Archer su Realclimate, qui


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